Dalla fabbrica un modello per l’Italia
Fabbrica, stabilimento, manifattura. Tre sostantivi che sanno di “antico”, sotto certi aspetti anche di nostalgico, cardini di una Italia che fu.
Quante storie, intrise di sudore e di sano orgoglio, ci hanno raccontato i nostri padri, soprattutto i nostri nonni, sulla capacità del nostro Paese di essersi saputo rimboccare le maniche e rialzare di fronte alle peggiori avversità. Senza dimenticare che durante quegli anni la presenza della tecnologia poteva coniugarsi, forse, in una catena di montaggio progressivamente sempre più rapida nell’esecuzione.
Ogni cosa è figlia del proprio tempo, si potrebbe obiettare. Nel tagliare il traguardo dell’innovazione, per usare una metafora sportiva, siamo oggi diventati centrometristi quando una volta eravamo a malapena dei fondisti da 10.000 metri col respiro ansimante.
È sul lavoro, è nel lavoro, che va individuata la chiave di volta per uscire definitivamente dal guado dopo gli strascichi nefasti del Covid-19, non solo dal punto di vista economico, ma anche da quello sociale.
Molte aziende sono state in grado di sopravvivere riconvertendo il proprio modus operandi lungo i binari della remotizzazione (parlare di lavoro agile o di smart working o di telelavoro per individuare la giusta accezione, anche dal punto di vista giuridico, è un esercizio già abbondantemente esplorato) e della digitalizzazione, quest’ultima, senza dubbio, la frontiera definitiva.
Velocità è la parola chiave. Globalizzazione – parola che dice tutto e dice niente allo stesso tempo – l’ambito in cui sempre di più ci muoveremo.
E le persone? Quale ruolo saranno chiamate a ricoprire? Perchè la fabbrica potrebbe rappresentare davvero quella sorta di modello ideale, quasi un paradigma, in cui (ri)costruire un tessuto relazionale che l’emergenza pandemica ha messo a dura prova, laddove non seriamente compromesso?
Quando si parla di spirito di squadra, è nei reparti di produzione che tale concetto presenta alcune caratteristiche che lo rendono speciale, addirittura unico. Sapere che la tua attività è allo stesso tempo conseguenza e volano del lavoro di un altro è qualcosa che di sicuro eleva il tuo livello di responsabilità e di coinvolgimento.
Anche chi opera battendo impietosamente gli indici sulla tastiera di un pc, direttamente connesso dalla propria abitazione, è a sua volta parte di un contesto. Qualcuno addirittura ha sostenuto di combattere una guerra – sic! – al virus comodamente seduto sul divano del salotto… Ma vuoi mettere la “romantica bellezza” di chi può vedere (stavo per scrivere toccare, ma di questi tempi meglio astenersi) il proprio collega, magari fargli un cenno di intesa con la mano e riprendere a lavorare con maggiore lena ed entusiasmo?
Tutto ciò passa attraverso il ripristino di un contesto relazionale nel quale deve riacquisire vigore il ruolo aristotelico di uomo quale animale sociale. La famosa e proverbiale macchinetta del caffè non può essere rimpiazzata da momenti virtuali attraverso l’intermediazione di un pc. Non c’è industria 4.0 e oltre che tenga da questo punto di vista.
Si dirà: c’è un problema di sicurezza nelle fabbriche italiane e, quindi, quanto precedentemente descritto è di difficile immediata realizzazione. Niente affatto! Ad esclusione di pochi comparti, nei nostri stabilimenti il distanziamento è osservato più che altrove, i protocolli a tutela della salute e della incolumità dei lavoratori sono rigidissimi e i rischi di contagio sono davvero ridotti. Piuttosto è all’esterno di esse che la situazione spesso è fuori controllo.
Anche solo pensando alle eccellenze a livello mondiale di cui si fregia, dalla meccatronica all’aerospazio, all’automotive, alla componentistica di valore, è fondamentale l’adozione di ogni iniziativa tesa a dare nuova linfa all’industria manifatturiera italiana. C’è un modello da preservare, che non attiene soltanto al profilo dei rapporti di carattere commerciale, ma, in senso lato, anche ad un sistema più esteso, con positive ripercussioni che riguardano la sfera della solidarietà, del vivere civile, che coinvolge tutti noi indistintamente.
Ecco perchè salvando l’industria manifatturiera si salverà l’Italia.