“Come stai”? E la vita di Marta rifiorisce
Marta era fatta così. Incerta come il suo deambulare, preoccupata per il suo futuro, triste per l’irrimediabile parabola discendente creatasi tra i suoi genitori. Ma non rinunciava al suo io, quasi come fosse un’arma di difesa sulla quale poter contare.
Aveva deciso di andare avanti da sola. Il mondo si era rivelato una delusione profonda, sbattendole più di una porta in faccia, e non intendeva concedere ad alcuno una seconda possibilità. Nessun dito puntato, se non contro se stessa. E questo la faceva soffrire, anche se l’orgoglio di cui si nutriva rappresentava un virtuale antidoto.
Diversa tra ciò che appariva e ciò che effettivamente era. Non esisteva situazione peggiore. Lei ne era pienamente consapevole. Ma voleva immergersi in essa fino in fondo. A rischio di isolarsi completamente da tutto e da tutti.
Questo rischio era già divenuto concreto. Solo 16 anni, la scuola quale unica certezza, almeno come specchio di una routine dalla quale non poteva sottrarsi. Tra quei banchi però respirava e percepiva tanta indifferenza da parte di tutti, con la campanella che faceva da spartiacque tra l’incedere altalenante del suo stato d’animo.
Eppure quegli occhi spenti, quel volto trascurato, nonostante tutto erano pronti. Pronti a rigenerarsi e a ricominciare da capo. Lì dove tutto era nato. Lì dove però, allo stesso tempo, tutto era finito.
Dietro quell’angolo oscuro c’era qualcuno. La sua inaspettata ancora di salvezza. Tutto sarebbe avvenuto per caso, ma non era affatto così. Perché quell’incontro doveva tenersi proprio in quel momento, condito da quelle parole, in quel luogo preciso.
La clinica dove sua madre abbandonò definitivamente qualsiasi remora e la consegnò alla vita. C’era un grande giardino, ben curato, nella parte adiacente l’accesso ai reparti. Marta vi passava accanto ogni giorno, ma quasi senza avere il coraggio di fare quel passo in più e quindi godere del profumo di quei fiori e dell’ombra di quelle piante.
Puntuale come un orologio svizzero, una persona da settimane si accomodava alle 12 su quella panchina di legno, con quel libro, sempre lo stesso, tra le mani, e la vedeva passare, sperando che prima o poi Marta vi si fermasse e sedesse accanto a lei.
Quel giorno era finalmente arrivato. Occhi che si incrociano, occhi che si parlano. Ma è la forza delle parole ad avere una dirompenza inaspettata.
“Come stai”? Marta percepisce questa domanda come un’interferenza alla sua normale capacità uditiva. Due parole che in vita sua, rivolte proprio a lei, non aveva mai sentito pronunciare. Parole, che avevano il grosso pregio di non necessitare di una traduzione o di una spiegazione.
“Ma allora c’è finalmente qualcuno che si interessa a me!” Il suo volto si trasforma passando improvvisamente dal buio alla luce e accogliendo un sorriso di cui è lei la prima a sorprendersi. Ma è felice ed è l’unica cosa che conta.
Cosa si siano dette in quelle due ore resta un intuibile mistero. Marta non saprà mai chi fosse quella persona, né da dove venisse, almeno per poterla ringraziare. La cosa bella è che ora non passa un giorno senza che Marta, fosse solo per un minuto, non si rechi in quel giardino e non si sieda su quella panchina.
A ricordare che la sua vita ha di nuovo un senso compiuto. (Ri)nato proprio lì.
“Nulla impedirà al sole di sorgere ancora, nemmeno la notte più buia. Perché oltre la nera cortina della notte c’è un’alba che ci aspetta” (Khalil Gibran).