Divano, scuse e fast food: la resa che ci toglie energia
Ci sono storie che non hanno bisogno di troppe spiegazioni: bastano pochi numeri per smontare le nostre scuse quotidiane. Una donna che a più di 90 anni corre ancora i 200 metri non è soltanto una notizia sportiva, ma un promemoria scomodo: i limiti esistono, sì, ma molto spesso siamo noi a costruirceli.
La verità è che siamo diventati maestri nell’arte dell’alibi. Troppo giovani per avere esperienza, troppo vecchi per cominciare, troppo impegnati per provarci, troppo stanchi per insistere. Ogni età ha la sua scusa pronta e il risultato è che ci arrendiamo prima ancora di partire. Ci raccontiamo che “non fa per noi”, quando in realtà non abbiamo nemmeno tentato.
Paradossalmente chi ha qualche anno in più sa dosarsi meglio. L’esperienza insegna che strafare porta allo strappo, non al traguardo. Non serve bruciare tutto al primo giro: serve conoscere il proprio passo, risparmiare energie, durare nel tempo. Forse per questo tanti anziani riescono a stupire, mentre i più giovani si perdono nella fretta e finiscono col restare senza fiato al primo sprint.
E poi c’è la grande malattia del nostro tempo: la “divanite”. Un male morbido, accogliente, che non agisce subito ma ci toglie energie giorno dopo giorno. Il divano non è il nemico, ma se diventa rifugio esclusivo ci allena solo alla rassegnazione. Muoversi — camminare, correre, fare un po’ di ginnastica, perfino salire le scale senza lamentarsi — è già una forma di ribellione. È dire al corpo e alla mente che non ci siamo arresi.
Al movimento deve però accompagnarsi un’altra scelta: quella dell’alimentazione. È inutile vantarsi di andare a correre se poi ci si siede davanti a un pasto di cibo spazzatura. La nostra quotidianità ci stritola: orari compressi, impegni che si accumulano, la fretta di rimediare qualcosa al volo. E così riempiamo i carrelli di prodotti pronti, di cibi veloci da scartare e da inghiottire, che promettono tempo risparmiato ma in realtà ci presentano un conto salato in termini di salute.
Mangiare male non è solo una cattiva abitudine: è un modo per costruirci un altro alibi. “Non ho tempo”, diciamo. Ma il tempo spesso c’è, solo che lo destiniamo altrove. Non serve diventare chef stellati né seguire diete impossibili: basta scegliere più spesso la semplicità. Un piatto di verdure fresche, un po’ di legumi, cereali non raffinati, meno zuccheri nascosti. Non è una rivoluzione, è un ritorno a ciò che dovrebbe essere normale.
Il corpo, come un motore, non si mantiene solo se viene acceso: serve anche il carburante giusto. E così come non riempiremmo mai un’auto di sabbia per risparmiare, non possiamo continuare a ingolfarci di prodotti che ci appesantiscono, illudendoci di poter recuperare poi con un po’ di palestra o con l’uscita della domenica. Non funziona così: movimento e alimentazione sono le due gambe della stessa strada.
Eppure, anche su questo fronte, siamo bravissimi a giustificarci. “Non ho tempo per cucinare”. “Non ho soldi per mangiare bene”. Ma spesso spendiamo più in cose inutili che in ciò che davvero fa la differenza. E no, non è questione di moralismo, ma di consapevolezza. Perché il corpo, alla lunga, presenta il conto.
Non tutti devono correre a novant’anni. Ma tutti, a qualunque età, possiamo scegliere di non fermarci e di non abbandonarci alla logica del “non ho tempo”. Perché il tempo che non dedichiamo a muoverci e a nutrirci bene è quello che un giorno saremo costretti a passare a curarci.
Alla fine non si tratta di record o di medaglie. Si tratta di vivere con la consapevolezza che ogni passo in avanti e ogni scelta a tavola sono pezzi di libertà riconquistata. Perché il cronometro si può anche perdere e un giorno tutti arriveremo ultimi. Ma la resa — quella silenziosa fatta di divani, scuse e cibo spazzatura — quella sì, resta l’unica vera sconfitta.
“Quando si tratta di mangiare in modo corretto e fare esercizio fisico, non c’è un io inizierò domani. Domani è la malattia” ( Terri Guillemets).