Il nostro è anche mio
Chissà quante volte ci indigniamo al cospetto di individui (il sostantivo persone assume un significato già più alto) che vediamo compiere le peggiori nefandezze a danno del bene pubblico solo perché, proprio in quanto tale (sic!), ritenuto tutt’altro che meritevole di tutela. Anzi, al contrario, legittimamente passibile di ogni sconcezza. Tanto non è roba mia, non mi appartiene, quindi posso farne quello che voglio.
Poi passa l’indignazione – magari anche dopo aver tentato di ridurre a più miti consigli l’autore del gesto insulso, con il rischio di beccarti, se ti va bene, solo un imperativo categorico di moto a luogo – e tutto ritorna come prima.
Il risultato? La maggior parte delle nostre città, dei nostri paesi spesso lasciano ampiamente a desiderare sotto il profilo del decoro e della pulizia. Si fa presto a puntare il dito contro l’inefficienza delle amministrazioni locali, che già arrancano sulle questioni più importanti, figurarsi se considerano prioritarie la manutenzione di un aiuola o la sistemazione di un marciapiede.
La chiave di tutto il discorso ruota intorno all’aggettivo nostro: fino a che punto sentiamo effettivamente tale qualcosa che non rientra nella mia tipica sfera di proprietà, ma della quale comunque beneficio?
Una bella testimonianza di dedizione a vantaggio del patrimonio comune arriva da Buccinasco, località dell’entroterra milanese di poco più di 25mila abitanti. G, un ex giardiniere di 85 anni oramai in pensione, ha deciso di mettere a disposizione della collettività il suo know how per dedicarsi puntualmente ogni mattina alla cura del verde cittadino, come se fosse un lavoro vero e proprio.
Così, tra fiori da piantare e da innaffiare, persino nelle rotonde spartitraffico, questo simpatico nonnetto è diventato un’autentica istituzione. Un creatore e manutentore dell’estetica.
Di sicuro ci saranno tanti anziani come G. lungo la nostra penisola che si adoperano a vantaggio della collettività senza alcun tornaconto personale, ma solo per il desiderio e la soddisfazione di rendersi utili. Quanti ne vediamo magari in veste di ausiliari del traffico la mattina dinanzi alle scuole prima del suono della campanella, oppure con compiti di vigilanza all’ingresso degli uffici pubblici.
Un esempio prezioso, quello che ci giunge dal giardiniere milanese e da tutti i suoi coevi di generazione, permeato di quello spirito di solidarietà e di visione collettiva delle cose, “figlio” senza dubbio di una forma mentis ispirata al sacrificio, modellata sulla sofferenza post bellica e improntata al profondo rispetto delle cose, soprattutto se sono patrimonio di tutti.
Ecco, proprio questo senso civico va recuperato, all’insegna di due atteggiamenti che dobbiamo nuovamente far nostri: non demandare più agli altri, ma riprendere piena coscienza del nostro ruolo di cittadinanza attiva, e riacquistare quella sensibilità perduta nel considerare il bene comune come un’appendice del bene proprio, che quindi non deve essere trascurato, ma anzi valorizzato.
A nessuno piace passeggiare lungo le strade del proprio quartiere se a destra e a sinistra sono le sterpaglie a farla da padrona. Oppure se le aiuole sono diventate soltanto un triste ricordo. E non lasciamoci continuare ad assuefare dal disfattismo di chi pensa che nulla potrà cambiare oppure di chi non si muove perché attende che siano sempre gli altri a compiere il primo passo.
Se ci riflettiamo, al tirar delle somme, la riscoperta del senso civico si traduce nel tentativo di far rinascere dentro ognuno di noi il desiderio di voler essere (ri)educati alla bellezza, di riappropriarci della meraviglia di riassaporare le cose semplici all’interno delle comunità nelle quali si manifesta il nostro vivere quotidiano.
Così sarà molto più facile maturare la consapevolezza che il bene pubblico appartiene ad ognuno di noi. È ognuno di noi.
“Io sono dell’opinione che la mia vita appartenga alla comunità e fintanto che vivo è un mio privilegio fare per essa tutto quello che mi è possibile” (George Bernard Shaw)