Il piano sul lavoro: strada in salita senza una comune visione
Riforme annunciate, già sostanzialmente predisposte, ma che con ogni probabilità decorreranno dal 1° gennaio 2022 (ammortizzatori sociali); riforme necessarie, addirittura finanziate (politiche attive), ma non ancora declinate nella loro operatività; scivoli pensionistici, ora possibili anche per aziende con organici non inferiori a 100 unità, nell’ambito del contratto di espansione; nuove tipologie di rapporti di lavoro che potrebbero instaurarsi (contratto di rioccupazione); sussidi, decontribuzioni, esoneri e agevolazioni a diverso titolo e per diversi destinatari. E tutto ciò senza citare le annunciate “esigenze modificative” in materia di codice degli appalti e il blocco dei licenziamenti, definiamolo così, a tre fasi (la prima che si chiude il 30 giugno, la seconda il 30 ottobre per le aziende piccole del terziario che hanno accesso alla cig in deroga e al Fis, la terza fino al successivo 31 dicembre per le aziende che chiederanno di usufruire della cassa integrazione guadagni “scontata”).
Non c’è che dire: per quanto elencate soltanto a titolo esemplificativo e non esaustivo, si tratta di una autentica bulimia di norme e disposizioni, alcune delle quali modulate per avere una immediata, seppur temporanea, efficacia; altre, invece, con un respiro di più lunga gittata.
Senza entrare nel merito dei singoli aspetti, quasi tutti i provvedimenti già adottati, quelli in fieri o quelli semplicemente preannunciati si prestano ad una valutazione che non può non tener conto del contingente periodo di emergenza per cui sono stati pensati e predisposti.
Ciò che forse resta difficile da individuare, con un occhio rivolto soprattutto al futuro, è una visione organica di insieme, che renda complementari tra di loro nella concreta applicazione le diverse azioni. Ma prima di dare un giudizio definitivo sarà necessario attendere la loro “messa a terra”, soprattutto quelle che riguardano le aziende.
Indicativi del buon successo di quanto sopra restano tuttavia metodo e percorso con cui le parti in causa sono chiamate a confrontarsi sui temi specifici per addivenire a soluzioni quanto più possibile condivise, che tengano conto, nel precipuo interesse dei lavoratori, delle differenti posizioni.
Materia del contendere di questi giorni – anche se acquisiva una maggiore progressiva sensibilità ogniqualvolta si avvicinava la data di termine – è la questione relativa al blocco dei licenziamenti, così come un domani molto prossimo potrà essere la riforma degli ammortizzatori sociali oppure la revisione del sistema pensionistico in funzione della decadenza a fine anno di quota 100.
Senza eccessivi giri di parole, sarebbe oltremodo deleterio per l’intero sistema paese se le norme continuassero a risentire – all’insegna di schemi e impostazioni di un passato sempre molto difficile da archiviare definitivamente – della necessità di contemperare al meglio (o al peggio, a seconda dei punti di vista) i diversi equilibri delle forze in campo.
Chissà, per quanto si tratti di circostanze, tempi e argomenti completamente diversi da quelli attuali, se possa essere opportuno richiamare almeno lo spirito che ha condotto organizzazioni datoriali e sindacali a sottoscrivere nel 2018 il Patto della Fabbrica.
In quel contesto si parlava di condivisione e di corresponsabilità, che avrebbe consentito di traguardare ad un auspicato nuovo modello di relazioni industriali maggiormente partecipativo e non più improntato alla conflittualità.
L’obiettivo cui puntare in questo caso è qualcosa di decisamente più ambizioso e indifferibile: la rinascita del tessuto produttivo, che si accompagni ad una ritrovata competitività.
Ecco perché bisogna assolutamente scongiurare il rischio che questa fase di ripartenza possa trasformarsi nella ennesima nuova frontiera delle occasioni perdute.