Ogni guerra ha la sua gerarchia
Viviamo fasi in cui l’Europa rischia di essere attanagliata dalla spirale di un conflitto bellico ampiamente preannunciato. E di avviare una sinistra contabilità fatta di vite umane immolate sull’altare di fattori geopolitici ed economici, millantati o autentici che dir si voglia.
Ma come ogni guerra che (non) si rispetti, purtroppo esiste anche una modalità non sempre coerente nel rendere l’opinione pubblica edotta, con criteri e spazi a loro volta dettati da ragioni di opportunità mediatica.
Tutti si soffermano sul rischio che la nostra economia potrebbe essere messa a dura prova per il potenziale mancato approvviggionamento delle energie primarie. Se poi di riflesso ci saranno anche le vittime, pazienza. È lo scotto da pagare per una umanità sempre più accartocciata su se stessa. Una considerazione folle, ma purtroppo tutt’altro che inveritiera.
Ma anche nel discettare di guerra esiste una gerarchia. Perché, è dura affermarlo, viene ritenuto diverso anche il valore della vita delle persone che la perdono quale conseguenza di essa. Insomma esistono guerre da prima pagina e guerre buone solo per riempire i vuoti lasciati liberi da altri avvenimenti di importanza persino relativa. E di conseguenza morti di serie a e di serie b.
Avete più sentito parlare della guerra in Siria? O delle guerre che continuano ad affliggere i paesi più poveri soprattutto dell’Africa subsahariana? O delle rivalità ispirate dall’odio di razza, che sempre nel continente nero non si sono effettivamente mai arrestate?
Portare alla ribalta dell’opinione pubblica le guerre e tenere alta su di esse l’attenzione dipende dalle latitudini e dagli interessi. E spesso parlare di quelle combattute dalle genti più povere, nelle terre dove la miseria è l’unico filo conduttore, provoca quasi fastidio. Fino però a scoprire che sono gli stessi paesi occidentali i paesi produttori delle armi che foraggiano i cosiddetti signori delle guerre.
Oltre al ruolo di spettatore (dis)interessato, cosa deve fare il cittadino comune? Possono ancora bastare la semplice indignazione e lo schierarsi dall’una o dall’altra parte in virtù di una personale valutazione dei fatti?
Chissà, forse questi momenti di tensione internazionale potrebbero rivelarsi utili ad ognuno di noi per riflettere e comprendere la portata di ciò che siamo e rappresentiamo nel nostro piccolo mondo, quello immerso nella quotidianità e nelle relazioni ordinarie.
È un invito a riscoprire la bellezza di un cuore libero da condizionamenti o da attriti, da contrasti che a volte si incancreniscono per motivi futili e che gettano alle ortiche anni di pacifica convivenza tra gli stessi familiari e amici, o di amore tra coniugi. E per chissà quale “superiore” ragione – forse solo quella di salvaguardare le apparenze agli occhi degli altri – spesso si fa finta di niente, come se nulla fosse accaduto.
“Se dunque presenti la tua offerta sull’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare e va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna ad offrire il tuo dono” (Gesù).