Singolare plurale
Sembrava già tutto scritto. Come quelle favole che un lieto fine devono comunque sempre averlo. Perché anche se dall’altra parte della rete ha incontrato il nemico invisibile, il suo Wimbledon l’ha comunque vinto senza giocare neppure un set.
Dal punto di vista sportivo non v’è dubbio che la delusione, in primis la sua, poi quella di tutti i suoi tifosi, sia stata cocente.
Ma Berrettini ha dimostrato che quella racchetta con la quale sfodera servizi e diritti al fulmicotone può restare ferma nella sacca al cospetto di una superiore valutazione: il benessere del prossimo prima di tutto il resto. Finanche del successo personale.
Anteporre l’io al noi: uno sport, anzi, uno stile di vita, che non sempre trova riscontro nella quotidianità.
Complice anche la pandemia, che ha determinato uno stravolgimento nelle modalità e nella qualità delle nostre relazioni, non di rado ci si imbatte in persone con il freno a mano tirato, focalizzate solo su se stesse e poco inclini a calarsi in un contesto comunitario. Vedasi alla voce individualismo.
Le affermazioni più ricorrenti che si sentono pronunciare, quasi a mo’ di alibi, sono spiazzanti in partenza: “Cosa cambia se faccio qualcosa che poi non trova seguito negli altri?” “Meglio adeguarsi all’andazzo generale, piuttosto che fare il battitore libero, seppur consapevole di muovermi nella verità”.
Come la storia ci insegna, le rivoluzioni, non solo quelle più eclatanti e manifeste, ma anche quella della semplice, si fa per dire, diffusione di un movimento intellettuale o di pensiero, sono sempre state generate dall’impegno e dalla sensibilità di pochi, accompagnata dalla diffidenza di molti. Che poi si sono presto ricreduti.
Mai come prima, per la situazione di emergenza sanitaria che pensavamo ormai di esserci lasciati alle spalle e per il conflitto bellico alle porte dell’Europa, quelli attuali sono quindi tempi di forte richiamo alle responsabilità, ognuno nell’ambito in cui si trova ad operare.
Ciò si concretizza non producendosi in chissà quali straordinari e memorabili risultati, ma attraverso l’agire senza lesinare il benché minimo sforzo in quel compito che si è chiamati ad assolvere. Solo così si può vivere bene nella collettività.
Anche perché è bene non dimenticare mai che il vero salto in avanti della vita si misura e si matura quando subentrerà la felicità nel considerare senza riserve il prossimo come la migliore proiezione di se stessi.
E questa sì che per tanti rappresenterebbe un’impresa.
“La vita di una collettività è vissuta nelle azioni degli individui che ne costituiscono il corpo. Non v’è collettività sociale concepibile che non funzioni per le azioni di qualche individuo” (Ludwig von Mises).