Il portafoglio sparisce, la fiducia anche
C’è qualcosa di paradossale nelle cronache dei nostri giorni. Non parliamo di colpi spettacolari alla “Casa di Carta”, ma di borseggi quotidiani, quelli che avvengono nei vagoni della metro, tra le calli veneziane, nelle vie centrali di una città d’arte. Episodi che sembrano piccoli nella scala dei grandi drammi, ma che diventano enormi se pensiamo a quanto raccontano della nostra convivenza.
La figura della borseggiatrice “da record”, quella che ha collezionato oltre sessanta denunce senza mai conoscere davvero il carcere, è diventata un simbolo suo malgrado. Non tanto di astuzia criminale, quanto della nostra capacità di assuefarci. Perché, alla fine, ci si abitua a tutto: al portafoglio che sparisce, alla spinta sospetta sul tram, perfino all’idea che tanto “non succede nulla”. Una rassegnazione che diventa, giorno dopo giorno, complicità silenziosa.
Il vero cortocircuito, però, sta altrove. Quando un cittadino, esasperato, prova a filmare un furto per avvisare altri o per documentare l’accaduto, si trova di fronte a un rischio imprevisto: quello di essere accusato lui stesso, magari per violazione della privacy o per diffamazione, se il video finisce online. Così il borseggiatore non solo resta libero, ma diventa persino titolare di diritti che si trasformano in scudo contro la stessa realtà che lo ha colto in flagrante. Un paradosso perfetto, che farebbe sorridere se non fosse tragico.
E intanto i turisti, che arrivano pieni di meraviglia, finiscono col tornare a casa con un ricordo amaro. Non sempre hanno tempo o voglia di denunciare: spesso ripartono il giorno dopo, e denunciare significa ore in commissariato, traduttori, carte da compilare. Si preferisce quindi lasciar perdere, ma con un pensiero che pesa: “in quella città non torno più”. E quando la voce corre veloce, il danno diventa collettivo: non è più il singolo portafoglio a sparire, ma la reputazione di un intero Paese.
Ma non ci sono solo i turisti. Ci sono gli anziani, bersagli facili per chi cerca il colpo veloce. Mani che frugano nelle borse, portafogli sfilati dalle giacche e a volte anche spintoni, cadute, lesioni. E qui il danno non è soltanto economico: è un’umiliazione che pesa, è una paura che resta. Una persona anziana che si rialza a fatica da una caduta non perde solo qualche banconota: perde sicurezza, fiducia, libertà di muoversi. E la città diventa meno vivibile per tutti.
La questione non riguarda solo il turismo, né soltanto i più fragili: riguarda noi, cittadini quotidiani, che continuiamo a vivere in una sorta di teatro dove il furto è scena abituale e la platea finge di non vedere. Ci indigniamo al mattino leggendo il giornale, scuotiamo la testa al bar, ma poi riprendiamo la routine come se nulla fosse. L’eccezione diventa regola, l’indignazione un esercizio sterile.
Che fare, allora? Non serve invocare soluzioni roboanti o improbabili crociate. Basterebbe il ritorno a poche certezze elementari: che chi sbaglia paghi davvero, che i divieti non siano carta straccia, che il cittadino onesto non abbia paura di segnalare. Non si tratta di sete di punizione, ma di giustizia minima: la certezza che vivere insieme abbia un senso e che la fiducia non sia una parola vuota.
Il rischio più grande, infatti, non è il borseggio in sé. È l’idea che sia normale. Che le nostre tasche siano destinate a essere alleggerite e che il massimo della difesa sia stringere la borsa sul tram o controllare la zip dello zaino ogni due passi. È l’assuefazione, la resa quotidiana, la vera sconfitta.
E allora forse il messaggio più semplice, ma più urgente, è questo: non rassegniamoci. Non smettiamo di denunciare, di raccontare, di pretendere. Non accettiamo l’idea che chi sbaglia continui indisturbato, mentre chi subisce debba abbassare la testa. Perché il giorno in cui smetteremo di indignarci sarà anche il giorno in cui, senza accorgercene, avremo perso molto più di un portafoglio.
“Il latino insegna il nominativo e l’accusativo e, se non li si conosce o, peggio, li si scambia, non si sa chi è che ruba e chi è che è derubato e si finisce, come nell’immortale Pinocchio, per mettere in galera il derubato e lasciare libero il ladro” (Claudio Magris).