Il valore dell’esperienza in un’epoca di passi rapidi

C’è un proverbio africano che dice: “Se vuoi andare veloce, vai da solo. Se vuoi andare lontano, vai insieme.” Che si potrebbe anche “tradurre”: se vuoi capire dove andare, segui chi ci è già passato.

Oggi però sembra che si preferisca chi corre senza guardare, chi spinge sull’acceleratore con gli occhi chiusi, anziché chi ha imparato a leggere le curve e i pericoli nascosti lungo il cammino.

Il tempo tende a celebrare la giovinezza come valore assoluto: energia, audacia, corsa. Ma correre senza conoscere la direzione può essere solo dispersione elegante. La velocità è utile, sì, ma diventa dono solo quando si accompagna all’orientamento, al senso, alla consapevolezza. Altrimenti è solo rumore di passi inutili che fanno tanta fatica.

Ed è qui che entra in gioco chi ha vissuto di più: non solo come semplice numero di anni, ma come densità di esperienza, come archivio di errori trasformati in direzione oculata. Una biblioteca di sbagli, di scelte azzardate e di ricordi, spesso messa da parte perché – si sa – “è roba vecchia, non c’entra più”.

Eppure in molti contesti della vita — nella famiglia, nella scuola, nello sport, perfino nell’arte, meno nel lavoro, purtroppo — l’esperienza non è un freno, ma una mappa. Il talento non è mai proprietà esclusiva della giovinezza: può sbocciare a vent’anni, ma anche rifiorire a cinquanta, a sessanta, quando la pressione dell’esserci già riusciti lascia finalmente spazio alla libertà del fare bene perché sì, e non per dover emergere a tutti i costi.

Anche nei contesti più dinamici, dove si parla di progetti, idee e crescita, la vera forza sta nella contaminazione tra chi ha il passo sicuro e chi ha la voglia di correre. Non si tratta di opporsi, ma di intrecciare velocità e saggezza. Perché è nella fusione di entusiasmo e memoria che si crea qualcosa di autentico e duraturo.

È curioso come in alcune culture si chiami “anziano” non colui che ha un certo numero di anni, ma colui che è riconosciuto fonte di saggezza. E per saggezza non si intende solo conoscere le risposte, ma aver imparato a convivere con le domande. Perché, diciamolo, oggi la domanda più scomoda è proprio questa: chi ha tempo di aspettare? Nel mondo che corre lo stare è un lusso, la riflessione un intralcio.

A volte è più rivoluzionario il consiglio calmo di chi ha attraversato la tempesta che l’impeto brillante di chi ancora non conosce il sapore dell’attesa. Ma la verità è che in una società che premia il nuovo e respinge il vecchio, quella calma è un rischio. Meglio andare avanti, meglio partire da zero, anche se significa reinventare l’acqua calda ogni volta. Perché dare spazio a chi ha già visto è come ammettere di non sapere tutto.

In un mondo che corre, serve chi conosce le strade. E chi ha i capelli bianchi può essere ancora un talento: non perché fa le cose “come una volta”, ma perché ha capito quando vale la pena farle di nuovo. Vale la pena, e sa farle meglio, con meno enfasi e più costrutto.

Forse proprio questo dovrebbe farci riflettere su quale tipo di futuro immaginiamo: uno dove conta arrivare prima, anche se non si sa dove? O uno in cui ha valore arrivare insieme, più consapevoli, più pronti, più umani?

Perché la vera corsa non è contro il tempo, ma verso il senso.

“L’errore dei giovani è credere che l’intelligenza sia un sostituto dell’esperienza, mentre l’errore dell’età matura è credere che l’esperienza sia un sostituto dell’intelligenza” (Lyman Bryson).