Bermuda, nudi e bivacchi: il tramonto del buon senso
Non è questione di dress code o di rigidi protocolli, ma di vivibile convivenza. Due episodi, diversi solo in apparenza, lo mostrano bene: da un lato la persona respinta da un ufficio comunale perché presentatasi in bermuda, dall’altro i bivacchi abusivi e persino i nudi ostentati da alcuni turisti sulle montagne di Cortina, con rifiuti abbandonati tra prati e sentieri trasformati in improvvisati campeggi.
Cosa li lega? Una convinzione diffusa: che ogni spazio sia neutro, a disposizione esclusiva dei nostri desideri, indipendentemente da regole scritte o non scritte. È l’idea che “tutto mi è concesso”, e che chi prova a ricordare diversamente sia automaticamente un bacchettone fuori tempo massimo.
Eppure, non molto tempo fa, certe regole di convivenza non avevano bisogno di essere spiegate. Si entrava in chiesa con un minimo di decoro, si varcava la soglia del municipio con il rispetto che si deve a un’istituzione, non come se fosse l’ingresso di un lido balneare. La montagna non era un campeggio improvvisato né tantomeno un set per esibizioni di nudità, ma un luogo da attraversare in silenzio, consapevoli di essere ospiti. Non era eleganza, ma educazione.
Se nell’antica Roma i mos maiorum — i costumi degli antenati — indicavano la via da seguire per non smarrire il senso della comunità, oggi sembra che questa bussola si sia rotta. La tradizione non era un insieme di regole immutabili, ma la memoria di ciò che funzionava per garantire ordine, dignità e convivenza. E in effetti, a guardarci intorno, non le abbiamo sostituito con nuove regole più moderne: le abbiamo semplicemente eliminate, senza nulla in cambio.
Oggi chi osa far notare che esiste un “modo” e un “luogo” per ogni cosa, rischia subito l’etichetta: moralista, retrogrado, addirittura sessista o intollerante. È il nuovo riflesso condizionato della nostra epoca: scambiare qualsiasi richiamo al rispetto per una minaccia alla libertà personale.
Il turismo, con i suoi eccessi, è lo specchio più evidente di questa deriva. Cortina non è la prima e non sarà l’ultima località a fare i conti con comportamenti che trasformano luoghi di bellezza in palcoscenici di maleducazione. Si pensa di arginare il problema con ingressi a pagamento, controlli, sanzioni. Tutti strumenti che, però, diventano inutili se manca il presupposto di base: la buona educazione. Perché chi è convinto che la libertà equivalga a fare ciò che vuole continuerà a bivaccare, a spogliarsi nei prati, a trattare i luoghi come non-luoghi.
E lo stesso vale per la vita quotidiana nelle città. Non è solo un problema di bermuda in Comune, ma di atteggiamento generale. Gli spazi pubblici non sono neutri: portano con sé un senso, una funzione, una memoria. Comportarsi come se non lo fossero significa svuotarli di significato. Così l’istituzione diventa un corridoio qualunque, la montagna una discarica, la chiesa una sala come un’altra.
Dietro la leggerezza di certi episodi, c’è un problema serio: abbiamo smarrito la grammatica del rispetto. Non sappiamo più distinguere tra il “posso” e il “devo”, tra ciò che è lecito e ciò che è opportuno. È come se fossimo entrati in una deregulation delle buone maniere, dove tutto è legittimato dall’individualismo e nulla è più regolato dal senso della comunità.
Eppure basterebbe poco. Non serve un manuale né una legge in più, ma la consapevolezza che non siamo soli. Che in Comune, in chiesa, in montagna, al mare, nei luoghi turistici o in quelli istituzionali, le nostre azioni parlano anche per chi ci sta accanto.
Perché la libertà, senza il rispetto, non è emancipazione: è barbarie travestita da spontaneità. È la progressiva erosione di quel collante invisibile che fa di una società un luogo di convivenza e non di sopraffazione reciproca.
Alla fine, tutto si riduce a una domanda, semplice e complessa insieme: cos’è il buon senso? Forse la risposta è meno lontana di quanto sembri. È la capacità di capire che i luoghi che attraversiamo non ci appartengono del tutto e che la libertà non è mai piena se diventa fastidio per chi ci sta accanto.
Ecco perché gli episodi che oggi fanno sorridere o indignare, a seconda della sensibilità, sono in realtà cartelli indicatori di un malessere più profondo. Non c’è ticket d’ingresso, ordinanza comunale o cartello appeso che possa restituire quella misura che abbiamo perso. Eppure, senza quella misura, rischiamo che ogni luogo diventi territorio di nessuno.
“Il buon senso c’era; ma se ne stava nascosto, per paura del senso comune” (Alessandro Manzoni).