Senza Pos non si cantano messe

C’era una volta il cestino, quello passato di mano in mano tra i banchi, con un fruscio di monete e biglietti piegati a metà per discrezione. Un gesto semplice, quasi rituale: infilare la mano, lasciar cadere il contributo e riprenderla senza che nessuno sapesse se dentro c’era un euro o un biglietto di grosso taglio. Era una piccola liturgia parallela, un momento in cui l’atto di dare si mescolava al silenzio e alla preghiera.

Adesso, in un centinaio di chiese italiane, arriverà il totem per il pagamento digitale: carta, bancomat, smartphone. Una luce verde a indicare che l’offerta è stata ricevuta e… amen. Il cestino passa così dall’essere un gesto comunitario a una stazione tecnologica, simile a quelle che incontriamo in metropolitana o al supermercato.

Difficile negare che anche la Chiesa si stia adeguando alla modernità. In un’epoca in cui si paga il caffè con il telefono e l’affitto con un click, sarebbe strano che l’offerta domenicale restasse immune al fascino dell’elettronica. Certo, resta da capire se questo sia davvero un passo in avanti o solo un passo di lato: al passo coi tempi nella raccolta dei fondi, molto meno in altre riforme interne, dove il peso della tradizione continua a rendere la vista un po’ miope alle esigenze e sensibilità attuali.

Forse non è un caso che le chiese siano sempre più vuote. Non solo per la secolarizzazione crescente, ma anche per la difficoltà a parlare un linguaggio che entri davvero in sintonia con il presente, con i suoi ritmi, le sue domande e le sue inquietudini. Mentre la tecnologia entra a passo spedito nei luoghi di culto, la capacità di intercettare la vita reale delle persone procede a velocità più ridotta.

Sul fronte della trasparenza il Pos ha almeno un merito: tracciare. E questo, dopo anni di notizie su usi discutibili di alcuni fondi ecclesiastici, è già qualcosa. Però non va dimenticato che non tutti vivono col bancomat in tasca. C’è chi non ha un conto corrente, chi preferisce la moneta contante, chi mantiene il legame con la fisicità del gesto, magari anche per motivi di riservatezza. Perché infilare una banconota piegata nel cestino è un atto anonimo; strisciare una carta, invece, lascia sempre un’impronta digitale.

Molto dipenderà anche da dove verranno collocati questi nuovi strumenti. In un angolo discreto, quasi a proteggere la privacy del fedele, o accanto alla statua di un santo, vicino al banco delle candele votive – quelle file ordinate di lumini pronti a essere accesi “in cambio” di un’offerta suggerita? In quel caso, il rischio è che la scena scivoli verso una curiosa e involontaria forma di “listino miracoloso”: più offri, più la grazia sembra durare. Un’interpretazione ovviamente caricaturale, ma che dice molto di come simboli e strumenti possano influenzare la percezione.

Papa Francesco, del resto, lo ha ricordato più volte: le offerte per i sacramenti non devono mai essere fissate come una tariffa, ma lasciate alla sensibilità e alla possibilità di ciascuno. Un concetto che il Pos, di per sé, non contraddice. Ma sarà il suo uso concreto a dirci se resterà uno strumento a servizio della libertà o se finirà per introdurre, magari in maniera silenziosa, un nuovo tipo di “tariffario spirituale”.

Alla fine il nodo non è se pagare con monete o con carta, ma cosa resta del senso originario dell’offerta. È un atto di partecipazione, un segno di fiducia verso una comunità e verso un progetto. Che poi avvenga “brevi manu” o contactless, poco importa. Ma se la tecnologia, entrando in chiesa, dovesse trasformare quel gesto in un’operazione fredda e impersonale, allora il rischio sarebbe di perdere proprio ciò che rendeva unica la scena: il silenzio, la discrezione, la libertà di dare senza che nessuno sapesse quanto.

E se le chiese di oggi faticano a riempirsi, qualche barlume di speranza si intravede guardando ai giovani che hanno affollato la Giornata Mondiale della Gioventù a Roma: segno che forse il dialogo tra fede e tempo presente è ancora possibile. Purché, quando si introduce un Pos tra i banchi, non ci si dimentichi che l’offerta è un gesto prima di tutto umano, non una transazione.

Perché la grazia – e questo il Pos non potrà mai misurarlo – non si carica con il contactless.

Le nuove tecnologie sono doni che Dio ha posto a nostra disposizione per scoprire, usare e far conoscere la verità, anche la verità sulla nostra dignità e sul nostro destino di suoi figli, eredi del suo Regno eterno” (San Giovanni Paolo II).