La velocità non è un problema. Finché lo diventa
Ci sono gesti che dicono molto più di mille discorsi. Un sorpasso azzardato, un limite ignorato, un’accelerata di troppo. Non servono grandi numeri per capirne le conseguenze: basta un singolo atto di incoscienza per spazzare via una vita. È in quell’attimo, tra un colpo di clacson e una frenata mancata, che si rivela quanto fragile sia il tessuto del nostro vivere civile.
Pochi giorni fa una ragazza spagnola, venuta in Italia per il programma Erasmus, è stata travolta mentre attraversava sulle strisce. La notizia ha fatto il giro delle cronache, ma non è l’eccezionalità a renderla grave: è la sua ripetizione.
Ogni anno storie simili riguardano italiani di ogni età, eppure sembra che ci accorgiamo della gravità solo quando la vittima porta un volto straniero. Non dovrebbe servire un passaporto diverso per indignarci: ogni vita ha lo stesso peso.
La verità è che non siamo un paese senza regole né senza senso civico. Anzi la stragrande maggioranza degli automobilisti si comporta con attenzione e responsabilità. Ma basta una minoranza, quella piccola quota di incivili convinti che “tanto a me non succede” – non di rado in preda persino ai fumi dell’alcol o di droghe, quando non impegnati a smanettare con lo smartphone – per mandare in frantumi la fiducia costruita da tutti gli altri. È la solita sproporzione tra chi rovina e chi ripara: pochi gesti irresponsabili possono cancellare anni di impegno silenzioso.
Certo, esistono leggi severe. L’omicidio stradale è stato introdotto proprio per colpire chi confonde la strada con un terreno di impunità. Ma la verità è che nessuna condanna, per quanto dura, restituisce la vita a chi non c’è più. Non consola i genitori, non risarcisce un futuro interrotto, non cicatrizza la ferita che resta nella memoria collettiva. La giustizia arriva dopo. Ciò che manca, troppo spesso, è la prevenzione, che dovrebbe arrivare prima.
Eppure il paradosso è sotto gli occhi di tutti. In molte località italiane le strade sono dissestate, piene di buche e avvallamenti che imporrebbero da soli un freno naturale. E invece nemmeno questo basta: c’è chi interpreta le voragini dell’asfalto come un’occasione per dimostrare la propria abilità al volante, trasformando l’inefficienza amministrativa in un palcoscenico di spericolatezza. A volte sembra che persino i difetti del territorio non riescano a contenere la presunzione umana.
A complicare il quadro c’è poi il boom delle automobili sempre più grandi, imponenti, pesanti. Una moda esplosa anche in Italia, dove strade e centri storici nati secoli fa non erano certo pensati per “digerire” SUV e crossover dalle dimensioni americane. Il risultato è che in un tessuto urbano delicato, già messo alla prova da traffico e degrado, circolano mezzi che occupano il doppio dello spazio e trasmettono, a chi li guida, un senso illusorio di invulnerabilità. È il vecchio meccanismo psicologico: più grande è la macchina, più piccolo sembra diventare il rischio. E invece il rischio cresce, per tutti.
La prevenzione, lo sappiamo, non è fatta solo di controlli e pattuglie. È questione di cultura, di educazione, di senso civico trasmesso fin da bambini. È la consapevolezza che rispettare una regola non è un atto di obbedienza passiva, ma un modo concreto per riconoscere che la vita dell’altro ha lo stesso valore della nostra.
Forse dovremmo cominciare da qui: dall’ammettere che non è la maggioranza silenziosa a costruire i problemi, ma la minoranza rumorosa a demolire ciò che tutti gli altri cercano di edificare ogni giorno con comportamenti corretti. E dal ricordare che nessuna legge, per quanto severa, potrà mai riportare indietro chi è stato strappato via da un colpo di acceleratore.
La domanda resta sospesa e riguarda tutti: quanto ancora siamo disposti a lasciare che pochi irresponsabili sporchino l’immagine e la credibilità di un Paese intero? E quanto dobbiamo ancora aspettare per capire che la civiltà non si misura nei proclami, ma nei gesti minimi, quelli che salvano vite senza bisogno di titoli in prima pagina?
“Ogni vita spezzata è un futuro cancellato, non una statistica da aggiornare” (Jacques Chirac).