Un Giubileo diverso: la porta silenziosa degli anziani

Nel recente messaggio di Papa Leone XIV per l’odierna V Giornata Mondiale dei Nonni e degli Anziani, c’è un passaggio che vale la pena riportare testualmente: “A coloro che, per impedimento serio, non potranno recarsi a Roma in occasione del Giubileo, è concessa la medesima grazia visitando un anziano, dedicandogli un tempo congruo, con spirito di attenzione e prossimità.”

Un’idea dirompente nella sua semplicità: l’anziano come “porta” attraverso cui si passa per ricevere un dono spirituale. Una porta, non un ostacolo. Una soglia da attraversare, non un muro da aggirare.

Non è la prima volta che la Chiesa ricorda che gli anziani hanno un posto fondativo nella storia della fede e dell’umanità. E non è un caso che Papa Francesco abbia istituito questa Giornata avendo come fulcro la memoria liturgica di Sant’Anna e San Gioacchino, i nonni di Gesù, celebrati ieri 26 luglio. Un incastro simbolico, quasi a dire: se vuoi capire qualcosa di questo Dio che si fa uomo, parti da chi la vita l’ha già attraversata. Non da chi sta ancora correndo per capirne il senso.

Fa riflettere un dettaglio: questa collocazione in piena estate, nel cuore della stagione delle partenze, quando si fanno le valigie e si cercano fughe dalla routine. È proprio il tempo in cui tanti anziani restano soli in case troppo calde o troppo silenziose, oppure accompagnati presso residenze ad hoc, con la televisione accesa a fare compagnia e un telefono che squilla sempre meno. Eppure il messaggio sembra dirci: se non puoi andare verso il centro del mondo, va’ verso il cuore della tua famiglia o della tua comunità. E fermati lì. Non per un gesto di cortesia, ma per un incontro che restituisce dignità e senso.

Un’altra sfumatura di questo invito forse sfugge a chi osserva solo in superficie. La possibilità di ricevere la stessa grazia spirituale incontrando un anziano vicino a sé è anche un segno di rispetto verso chi abita nelle zone più povere del mondo. Non tutti hanno i mezzi economici per intraprendere un viaggio a Roma e non per questo possono essere considerati cristiani di serie B. Anzi, questa scelta sembra andare ancora più in profondità, perché restituisce concretezza all’essenza stessa del Giubileo: non un evento da fotografare e raccontare come status, ma un’esperienza di incontro, di riconciliazione, di presenza autentica. In un certo senso questa soluzione premia l’essere più che l’apparire e ricorda che non è necessario un biglietto aereo per vivere pienamente la fede.

Agiamo in una società che categorizza l’essere umano quasi esclusivamente per il suo rendimento: quanto produce, quanto consuma, quanto si adatta alle metriche del tempo. Tutto il resto è considerato un carico da sopportare. Se un anziano non lavora più, non spende abbastanza, non “si mantiene attivo” secondo i canoni del marketing, diventa un problema da gestire. O, più spesso, da ignorare finché non si può più evitare.

È il paradosso del nostro tempo: ci preoccupiamo di costruire città smart, aziende agili, vite performanti. Ma ci sfugge l’idea che una società incapace di prendersi cura della propria memoria è una società destinata a perdere anche il senso del futuro.

Basterebbe un cambio di prospettiva. Smettere di pensare all’anziano come a uno “scarto” — parola che sembra eccessiva, ma che descrive bene certi sguardi — e cominciare a riconoscerlo come un archivio vivente. Una riserva di esperienza che, anche se non aggiornata all’ultima moda, ha il pregio di contenere qualcosa che nessuna app potrà mai replicare: il sapere che nasce dalle cicatrici, dagli amori vissuti, dagli errori metabolizzati.

C’è un altro aspetto che non andrebbe trascurato: quell’invito del Papa a dedicare “un tempo congruo”. Non un saluto veloce, non una visita di cortesia da spuntare sulla lista delle buone azioni. Ma un tempo reale, pieno. Un ascolto. Un’attenzione che restituisce dignità a chi, troppo spesso, viene relegato nelle retrovie. È quasi un messaggio controcorrente: in un’epoca che ci ripete che il nostro tempo vale oro, che il nostro tempo è sempre e solo nostro, c’è chi osa dire che spenderlo per gli altri è la forma più alta di umanità.

In fondo, se ci pensiamo, è proprio questo lo scandalo positivo della vecchiaia: costringe chi è di passaggio — e siamo tutti di passaggio, per fortuna — a fermarsi, a rallentare, a guardare oltre la superficie. E magari a capire che la vita non è solo produzione, consumo, movimento. È anche un ereditare storie e restituirle trasformate in cura.

Chi vuole può liquidare tutto questo come retorica buonista. Si può sempre dire che “la vita è un’altra cosa”, che “non abbiamo tempo”, che “ci penseremo più avanti”. È la scusa che funziona sempre, un po’ come quella frase ripetuta all’infinito: “Bisogna essere realisti”. Ma forse essere realisti significa anche ammettere che una società che si abitua a considerare gli anziani come un fastidio è una società che prima o poi si abitua a considerare superfluo chiunque sia fragile.

Allora, se davvero gli anziani sono una porta — e non un ostacolo — forse basterebbe avere il coraggio di varcarla. Senza pretendere di cambiare tutto, ma cominciando da un gesto semplice: esserci. Con rispetto, con tempo, con ascolto. E con la certezza che quel gesto, piccolo e silenzioso, ha un valore più grande di qualsiasi riconoscimento pubblico.

“Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvato” (Gesù).