Abbandonarsi e poi ritrovarsi
Il suo più bel regalo di compleanno sarebbe stato quell’incontro. Da lui tanto agognato. Da lei non si sa. Ma si trattava pur sempre di sua madre.
Erano ormai trascorse quattro settimane da quando Remo occupava da solo quella casa. Troppo grande per lui, come sembra troppo grande anche la casa più piccola se c’è una sola persona a viverla.
A decidere di abbandonarlo, la donna che lo aveva messo al mondo ci aveva già pensato da tempo. Mancava solo il quando. Che si è concretizzato in una ventosa mattinata di autunno.
Un biglietto scritto con una calligrafia tremante lasciato sul tavolo in cucina, mentre Remo stava ancora dormendo. Poche parole. “Sarò via per un viaggio, non so quanto lungo. Buona fortuna”. Freddo come la lama di un pugnale. Il ragazzo costretto a diventare presto uomo se ne era fatta una ragione sin da subito. Aveva capito che la mamma nascondeva qualcosa. Qualcuno.
Forse era quell’uomo conosciuto su Internet ad averla ammaliata, circuita, fino a costringerla a scegliere tra lui e Remo? E chissà da quando tempo aveva fatto resistenza con se stessa, prima di prendere la decisione di lasciare casa. Trentacinque anni, ma con un atteggiamento di donna matura a fasi alterne.
Un giorno Remo era riuscito ad intravederla – altro che viaggio, ha subito pensato – e le si era messa alle calcagna, tenendosi a debita distanza. Lei appariva ancora più piccola di quella che era. Due borse della spesa tra le mani, passo svelto e ben cadenzato, fino a giungere nei pressi del portone di un palazzo.
Il ragazzo corre ed attraversa la strada noncurante delle macchine che lo sfiorano, fino ad incrociare lo sguardo della madre.
I due restano immobili. Nessuno ha la forza di parlare: Remo per un misto di rabbia e di compassione, la donna per l’inattesa visione. Le braccia di entrambi si allungano, fino a diventare una cosa sola.
C’era un uomo dietro il vetro di una finestra al secondo piano che ha visto quella scena. E dopo un minuto quelle persone dinanzi al portone diventano tre. Disposte a semicerchio, con i due adulti che guardano fisso il ragazzo diventato uomo prima del tempo.
L’istinto a Remo suggerisce qualcosa, ma non vuole illudersi. Poi gli è difficile tenerlo a freno. Guarda la madre che annuisce. Allora non è più istinto: è una certezza. E pensare che quell’uomo è stato il suo insegnante di matematica alle scuole medie!
Quell’uomo è suo padre! Il semicerchio si chiude fino a divenire una cupola. E si chiude anche il vuoto nella vita di Remo. Il vuoto creato da quel genitore che non aveva mai conosciuto come tale prima d’ora. E da quella mamma che, nonostante tutto, di fatto non aveva mai abbandonato suo figlio perché sognava ben presto di ritornare ad essere di nuovo in tre.
Il suo “viaggio”, a pochi chilometri di distanza dalla loro casa, era finito. Durato il tempo di comprendere che quel giorno fosse ormai maturo, dopo aver esplorato e analizzato a fondo le autentiche ragioni di quell’addio improvviso del marito di tanti anni fa, subito dopo la nascita del loro figlio. Era solo la paura di non farcela, sommerso dal peso di una responsabilità arrivata troppo presto.
Ora quella casa era diventata davvero piccola. Ma per quella famiglia una reggia non sarebbe stata più comoda, spaziosa ed accogliente.
Come ogni luogo dove ritorna l’amore.
“Mai nulla di splendido è stato realizzato se non da chi ha osato credere che dentro di sé ci fosse qualcosa di più grande delle circostanze” (Bruce Barton).